Perché proprio Blue Monday Vodka?

Non vi capita mai, il lunedì mattina, di lasciar suonare la sveglia per ore prima di trovare la forza di alzarvi?
Tutto gioca a vostro svantaggio: il doposbornia vi attanaglia dal weekend, il tepore delle coperte certo non aiuta, il lavoro che vi aspetta, il caffè che è finito giusto ieri...
Blue Monday Vodka: la valida alternativa al cordiale del lunedì ore 7:00

martedì 26 febbraio 2013

LA CHICCA... 2


E sempre sul filone de ‘La Chicca’ del 18 Febbraio scorso, ecco a cosa mi è capitato di assistere durante una nevosa sessione di shopping all’H&M di Corso Vittorio Emanuele…

Come già avevo ampiamente avuto modo di lamentarmi in precedenza: la collezione limitata di Maison Martin Margiela per H&M era ampiamente rimasta invenduta anche nella ben più trendy Milano, e non solo a Venezia.
Due signore sulla cinquantina si avvicinano all’arella espositiva della capsule collection e notano i Painted bianchi (nella foto).
È soprattutto il cartellino del prezzo ad attirarle: € 10,oo.
        - Carla! Guarda questi che carini. Costano solo 10… - Dice distrattamente una all’altra.
L’amica si avvicina, e storce il naso.
        - Sì, ma sono rovinati! Guarda cos’hanno su tutta la gamba! Cosa sono, plastificati?

…A quanto pare non bastava aver messo un cartellino esplicativo in tela, poco più piccolo delle dimensioni di un A4, per identificare le peculiarità della capsule collection.

IL BACKSTAGE DELLA SFILATA DI AQUILANO.RIMONDI - A/I 2013/14


Qualche breve flash dal mondo dei backstage: Sfilata di Aquilano.Rimondi, sabato 23 febbraio 2013, Milano Moda Donna.
Terza Uscita

Il nervosismo è inversamente proporzionale al conto alla rovescia per lo show...

Le uscite della prima modella (di cui ero vestiarista)

Un abito icona della sfilata. La regina di Cuori..

Trucco e Parrucco

Trucco e Parrucco 2

Il moodboard d'ispirazione.

Quello che lasciano i barbari a fine sfilata...

Le Cole dell'Esselunga, intonse, ovviamente.

Eviterò di parlare delle modelle sempre più giovani e sempre più magre; del fatto che le figure dei vestiaristi (lavoro che io stessa ho fatto per riuscire ad intrufolarmi nel backstage della sfilata) sussistono solo in quanto queste ragazze stanno a mala pena in piedi, e non sono in grado di vestirsi da sole. Meno che meno nell’economia di pochi istanti, dettata dai tempi dello show. Così si rende necessario che ci sia chi, oltre a truccarle, pettinarle, sballottarle, dirigerle e tenerle a bacchetta, spingendole spesso verso l’anoressia, le vesta anche. Mentre loro, lo sguardo vacuo, si reggono malamente alle arelle dei vestiti, fragili ed evanescenti come grissini (che non mangiano).

– E, a proposito di cibo: Le bevande offerte al banchetto del backstage erano lattine di cola dell’Esselunga. Che sia la crisi, o la voglia di evitare uno spreco inutile, dato che, puntualmente, tale banchetto viene snobbato in virtù della salvaguardia del forma peso? –

Dirò invece una cosa sola:
Non mi è piaciuta per nulla la passerella.
Il mood d’ispirazione doveva essere la ‘Alice in Wonderland’ di Burton. Il catwolk infatti era scandito da un banale remix della colonna sonora del film della Disney. Ma tutti i riferimenti erano tanto espliciti da sembrar scontati.
Ai caratteristici volumi della griffe erano stati applicati, senza estro, pattern con motivi di cuori e picche. Gli intarsi si riducevano a scollature a cuore e disegni in lacca di fiori e quadri sui tacchi degli stivali.
Nemmeno Moira Orfei nei suoi peggiori incubi…
Quanto meno a parer mio. Ma giudicate pure voi coi vostri occhi dai pochi scatti che mi è riuscito di rubare.

venerdì 22 febbraio 2013

TUTTO IL MONDO SI OCCUPA DI MODA...

Ultimamente sembra che tutto il mondo si occupi di moda. È di moda essere blogger/giornalisti di moda, a quanto pare.
Ma allora, chi la moda la studia davvero, che speranze ha di occuparsi davvero della sua materia, se poi hanno successo solo le eterne studentesse di legge alla Bocconi - ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è puramente casuale - che vengono letteralmente incensate dal pubblico per aver postato null'altro che ridondanti foto auto-celebrative?
Forse per diventare fashion blogger bisogna tassativamente essere narcisisti ed egocentrici, e poco importano le reali competenze in materia...


Fatto sta che, a monte, il malinteso è più complesso.

Blog a parte, l'Italia in generale sembra non avere ancora le idee chiare in fatto di studi e giornalismo di moda. E forse anche sul giornalismo in generale, visto e considerato che siamo l'unico paese che non prevede la necessità di una laurea per essere iscritti all'albo dei giornalisti...
C'è chi si è formato le ossa sul campo (come tutte le nostre firme storiche del giornalismo), sui quali, tanto di cappello, non ho nulla da ridire, se non che ormai sono rimasti in ben pochi.
la maggior parte di chi, al giorno d'oggi, si occupa di giornalismo di moda, fa parte di una selva indistinta di amatoriali scribacchini che considerano l'argomento come troppo frivolo perchè gli si dedichi tempo in studi approfonditi, e troppo poco filosofico per essere preso sul serio. Ne consegue che i commenti circa quella o quell'altra sfilata siano sempre superficiali e poco incisivi. Le parole vengono sprecate nella descrizione degli astanti e delle celebrità presenti allo show, mentre degli abiti si fa solo un breve accenno.
A farla da protagonista sono le foto. E per fortuna! Almeno quelle sanno essere tanto più esaustive quanto più attento è l'occhio che le esamina.
E allora viva The Sartorialist! Che in questa giungla di inesperti critici (improvvisati per la maggior parte) è l'unico che regala uno squarcio oggettivo ed attento sull'argomento.

lunedì 18 febbraio 2013

LA CHICCA...



Discutibile o meno la scelta di H&M di collaborare con Maison Martin Margiela per la sua ultima capsule collection, resta una sola certezza (comprovata di persona)…

Qualche giorno fa mi trovavo nel punto vendita H&M di Venezia, all’ultimo piano, dove in questi giorni sono stati ormai relegati gli ultimi saldi, tra i quali anche qualche sfortunato pezzo griffato Margiela, rimasto invenduto, e mi è capitato di assistere alla seguente scenetta (ndr: è tutto vero):

Una signora – volendo calcare la mano potrei ammettere che si trattava della classica MILF veneziana, con poca classe e appariscenza da vendere – prende in mano uno dei 3, forse 4, biker (vedi foto) di Margiela, rieditati in occasione della suddetta capsule collection, e si reca contrariata dalla commessa del reparto. Le sventaglia sotto il naso il giubbotto e le chiede:
- Mi scusi, capisco che siano anche in saldo a metà prezzo, ma è mica che ne avrebbe uno non fallato?!

Se mai ho avuto pietà di una commessa fu per quella.
E tutto ciò a riprova che, va bene incentivare un marchio low cost, affiancandolo in piccole esperienze di cobranding a grandi case di moda, ma l’operazione necessita anche di un po’ di accortezza: se appositamente il marchio del quale ci si vuol fregiare si rivolge ad un mercato di nicchia, all’interno dello stesso universo della moda, difficilmente la massa, cui si rivolge H&M da sempre, riuscirà ad apprezzare quegli stessi capi. A maggior ragione se vengono solamente rispolverati dall’archivio di una maison come Margiela, senza essere appositamente rivisitati per la nuova fascia di mercato a cui vogliono rivolgersi.

domenica 17 febbraio 2013

IL PVC HA LA MEMORIA CORTA...


Foto 0: tracolla di Valentino. Pvc con profilature di pelle color carne e borchie.
Style.it l’ha annunciato con tanto di squilli di trombe tra gli imperdibili must-have di stagione, eppure a me sembra che la borsa in pvc non sia proprio un’invenzione della Maison Valentino.
Furla sperimenta da anni con materiali innovativi nel bag design, per dirne una. E la sua ultima nata, la Candy Bag (foto 1), è il risultato di una lunga ricerca nel campo delle commistioni tra pellame e plastica.
Volendo rimanere nell’ambito delle grandi firme, anche Prada ha lanciato sul mercato un bauletto in pvc, profilato in pelle nera a contrasto per le prossime primaverea-esatate 2013. (foto 2)
Inoltre vi è un precedente illustre, di qualche anno fa, che mi fa proprio pensare che il pvc abbia la memoria corta: la casa francese del lusso per antonomasia, Louis Vuitton, aveva già fatto un esperimento simile, molte stagioni fa – che oggi ha riproposto, rivisitato, nella versione trasparente con logo e profilature bianche (foto 3) –
L’esperimento era talmente piaciuto che subito gli ambulanti di mezzo mondo si erano organizzati per la copiatura selvaggia, che in un batter d’occhio si è immediatamente così commercializzata, deprezzata ed infine svenduta, che per un’intera stagione le signore alla moda non hanno fatto che invadere le spiagge del Lido di Venezia con le loro maxi shopper Vuitton in pvc, relegando queste borse al solo utilizzo da mare.
Già l’anno successivo, al ritorno della bella stagione, non se ne poteva più di queste onnipresenti borse in plastica, che infatti furono prontamente dismesse e richiuse in un cassetto per essere impunentemente dimenticate dalle fashioniste. Ma non dai fashion designer! che con il consueto meccanismo di cicli e ricicli della moda, le hanno tirate fuori in massa per la primavera-estate 2013.
Foto 1: Candy Bag di Furla in pvc con fondo a contrasto.
Foto 2: Bauletto Prada in pvc con profilature  in pelle nera e chiusura-gioiello a portafoglio.
Foto 3: Louis Vuitton, collezione S/S 2013, in pvc trasparente con logo bianco a contrasto e profilature bianche.
Ora questi trasparenti accessori di lusso si possono ammirare nelle vetrine, non solo di Furla, dove campeggiano da anni, ma anche di Vuitton (nuovamente), di Prada e di Valentino.
A quest’ultimo, o meglio, ai suoi designer Chiuri e Piccioli, va però il merito di aver ‘sfornato’ l’eccellenza (foto 0).
Perché, se anche resta il dubbio amletico sulla non-praticità di queste pochette, dove il poco che entra è anche in bella vista per tutti i ladri e malintenzionati di turno, la più bella della categoria è senza dubbio la tracollina di Valentino, profilata di pelle color carne e borchiata, a ricalcare il mood delle collezioni passate della Maison, con un gusto più aggressivo che compensa piacevolmente la trasparenza. Perché, se è vero che la borsa nasce coprente proprio perché ci sono cose che una signorina porta con sé, ma preferisce nascondere (chi infatti si sognerebbe di infilare in bella vista l’assorbente di scorta nella sua pvc? O anche solo i fazzolettini di carta…), le borchie sembrano lanciare invece il messaggio opposto: sono una lady di classe e non ho nulla da nascondere nella mia Valentino!

sabato 16 febbraio 2013

TRA BON-TON E BON BON…

SMALTI Spring/Summer 2013

Cominciamo con Dior. La nota maison parigina ha sfornato 4 nuance di stagione: 155 Tutu, 355 Rosy Bow, molto Big Babol, a riprova che gli anni “90 stanno inesorabilmente tornando di moda, e 306 Gris Trianon, più il top coat 385: rosa shocking trasparente. (nella foto)

Da sinistra: 155 Tutu, 355 Rosy Bow, 306 Gris Trianon


Top Coat n° 385
Promossi tutti e quattro, a mio parere, anche se in quanto ad innovazione bisogna ammettere che ce c’è ben poca…
Tra Dior e Chanel le novità lanciate per la prossima stagione sembrano cavalcare il già ben consolidato trend del bon-tonbon-bon, che non fa mai male.
Ad ogni modo, il più attraente tra i tre mi è sembrato il 155. Con il suo colore sfacciatamente innocente regala alla manicure un’allure da bimbetta frizzante ed al tempo stesso romantica, in tono con la primavera ormai alle porte.

Interessanti invece sono le due nuovissime tonalità Yves Saint Laurent: 34 e 35, rispettivamente: verde acqua con una nota di oliva, e oro cupo, tendente al color champagne.
Da copiare!

Sephora Duo, n° 04, Pinapple

E a proposito di copiare…
Tra le case low-cost segalo: Sephora Duo, Pinapple 04. Il primo smalto profumato, a detta della casa madre. (Che sia poi vero è tutto da vedere; io l’ho provato e mi pareva odorasse del consueto olezzo di vernice, come qualsiasi altro smalto d’altro canto.) Con l’accortezza di provare le due parti del ‘duo’ separatamente. La base gialla rende molto meglio senza la sovrapposizione dei ridondanti brillantini, e la sua deliziosa colorazione primaverile fa subito venir voglia di un cocktail fruttato, da sorseggiare sulla spiaggia.

Kiko presenta invece la collezione: Celebration. Tra i colori migliori: 417 Blush, che ricorda un po’ le suggestioni fanciullesche di Dior 155 Tutu, e 425 Liquid Gold, un piccolo azzardo di stagione, magari da comprare e serbare per i prossimi autunno e inverno 13-14, quando il lamé tornerà alla ribalta, come annunciato nelle passerelle di Marc Jacobs a New York.
Anche se l’oro più splendente della scorsa collezione se l’è aggiudicato ancora una volta Yves Saint Laurent con l’abbinata: base nera e craquele oro, replicata anche da L’Oréal con Ornamental Gold. (http://www.woonko.com/style/anteprima-smalti-2012-craquele-per-yves-saint-laurent-36117.html)

Yves Saint Laurent, duo: base nera + craquele color oro

venerdì 15 febbraio 2013

ANCHE VOGUE PERDE COLPI...


Io dico che anche Vogue (Italia ndr) sta perdendo colpi.
Lo speciale sulle sfilate, storico allegato delle uscite dei mesi di Gennaio ed Agosto, in Gennaio 2013 si è ridotto a cosa? Un paio di doppie pagine con immagini-francobollo e la falsa patina di internazionalità, sbandierando l’apertura della rivista anche alle settimane della moda emergenti, e non solo a quelle già consolidate di Milano, Londra, Parigi, New York. Oltretutto il sottomessaggio che filtrava palesemente era: ormai è roba trita e ri-trita andare sempre negli stessi posti.

Ok, posso essere d’accordo. Ma che la critica sia costruttiva allora!
Vogliamo focalizzare la nostra attenzione sul nuovo/emergente? Bene! Mettiamolo a confronto con il conosciuto, consideriamone i punti di forza piuttosto che i talloni d’Achille. Facendo ciò dimostriamo ancora una volta l’egemonia di Vogue sulle altre pubblicazioni del settore, e tutti felici e contenti. Ma sicuramente nessuno si sarebbe mai sognato di tagliare di sana pianta il servizio! (Perché, di fatto, questo è stato attuato – tant’è che quasi ci aspettava che semplicemente lo ‘speciale’ fosse stato ritardato di un mese. E invece a Febbraio è uscito nelle edicole l’allegato Vogue Shopping, che ha inequivocabilmente messo la parola fine alla parentesi da passerella della rivista.)
…quantomeno nessun lettore; perché è evidente invece che la direzione non solo l’ha sognato, ma l’ha pure attuato.

mercoledì 13 febbraio 2013

SBAGLIANDO SI IMPARA... O ANCHE NO!


“Le persone che fanno errori o si vestono male sono i veri stilisti. […] La mia collezione Ti senti come se avessi mangiato troppo… è tratta proprio da quei momenti in cui ti senti in errore o imbarazzo.” (Jean Paul Gaultier, Harpers and Queen, 1984)

Questa è la mia frase del giorno. Perché in fin dei conti anche la grande Anna Piaggi non era poi tanto distante da Moira Orfei; e perché in un mondo, quello della moda, in cui tutti sono sempre pronti a stroncarti a suon di critiche feroci, c’è bisogno di non prendersi mai troppo sul serio.

JEAN PAUL GAULTIER E PETER GREENAWAY: UNA SFILATA IN TEATRO

Helen Mirren e Richard Bohringer in una scena del film “Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante”, regia di Peter Greenaway, anno: 1989.


“Il cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante” è un film realizzato nel 1989 da Peter Greenaway, che ne ha scritto la sceneggiatura e diretto magistralmente la regia. Nel cast figurano, tra gli altri, Richard Bohringer, nei panni di Richard Borst, “il cuoco”; Michael Gambon, il perverso e villano gangster Albert Spica, ed Helen Mirren, nel ruolo della moglie di Spica, la protagonista. Il film è un noir, noto per la sua interpretazione di cannibalismo, ai limiti della perversione, e per le inquadrature senza veli nelle scene di sesso; così come per il suo design d’interni sontuoso e i lenti passaggi di scena panoramici, chiaro retaggio del bagaglio esperienziale di Greenaway, che nasce come regista teatrale, prima ancora che come cineasta.
Ed oltre che nel gusto per una trattazione ampiamente gestuale, derivante dal teatro, questa particolare sensibilità estetica si nota, in massima misura anche a paragone tra gli altri lavori dello stesso Greenaway, nella cura ossessiva dei dettagli. Le scene opulente, barocche, di immediato impatto, sembrano costruite per parlare da sole. A riprova di ciò vi è la scarsa necessità di dialoghi, di fatto scarni e sporadici nell’intera narrazione, contrapposta al ridondante baccanale per gli occhi offerto dalla scenografia.
A corredare la magnificenza dell’allestimento scenico, è stato chiamato Jean-Paul Gaultier, designer per eccellenza della trasgressione anni ’80, ma sempre con stile.
Non si sarebbe potuta fare scelta più azzeccata. Gli abiti dello stilista francese si sposano alla perfezione, sia con le scene, che con la narrazione, con la loro carica sessuale esplicita – chiaramente riscontrabile specialmente nelle iconiche coppe a punta dei reggiseno – tanto che la domanda sorge spontanea: quanto le pregresse impostazioni dell’intero progetto abbiano influito sul processo creativo del Gaultier-costumista, e quanto invece sia possibile che, viceversa, il prepotentemente immaginifico mondo del couturier abbia “dettato legge”?
Ad avvalorare tale tesi si possono citare i frequenti cambi di scena, e di conseguenza d’abiti, della prima attrice. Perché ad ogni ambiente corrisponde un colore, e tutto vi deve essere intonato; quindi, per esempio, nel momento in cui dalla sala da pranzo, dove il rosso predomina, si passa alla toilette, dove il candore immacolato dei marmi inonda la vista, con un effetto a metà tra gli interni in stile Philippe Stark e un rimando a Kubrick in “2001 Odissea nello Spazio”, anche il cambio d’abiti diventa doveroso. Stesso copione per il passaggio nei locali della cucina, tutti sui toni soffusi del verde, come un chiaro richiamo ad un’idea di cucina prevalentemente vegetariana, in assoluto contrasto con il colpo di scena finale, votato al cannibalismo forzoso.
Per parte mia l’esperimento è da considerarsi non solo interessante, ma anche positivamente riuscito. Le forme scultoree, a prescindere dal colore degli outfit, sono fortemente evocative e lasciano aperto il campo per un’analisi introspettiva dei caratteri dei personaggi che li indossano, supportando in tal modo quella che sarebbe altrimenti stata percepita come una carenza nella trattazione: il quasi assordante silenzio dei protagonisti, stemperato nel chiasso indistinto della figura antagonista, tratteggiata volutamente con pochi tratti rozzi, e magistralmente interpretata da Michael Gambon.
L’unica nota stridente è forse l’eccessiva enfasi posta nella maniacale cura dell’abbigliamento femminile, quando invece i vari personaggi maschili risultano molto più sobri, e quasi rischiano di passare inosservati, o, per lo meno, non così strettamente necessari allo svolgersi della vicenda.

martedì 12 febbraio 2013

DOPPIO COLLETTO: TROMPE L’ŒIL!




Il consiglio in più?
Provate a creare un insolito trompe l’œil come ho fatto io nella foto. Indossate il colletto-collana, magari irrigidito con una passata di amido, al di sotto di una camicia generosamente sbottonata. L’effetto ottico sarà d’impatto! Per colpire con originalità…

        
Prendete la camicia, il capo basico per eccellenza, presente nel guardaroba maschile quanto in quello femminile; capo versatile che, mutando giusto qualche dettaglio si presta alle occasioni più formali come al tempo libero.
La camicia è uno degli elementi più gettonati per formare la maggior parte delle divise, ufficiali e non (vedi: poliziotti, militari, finanzieri, ma anche paninari anni “80 e collegiali di tutto il mondo…).
Questo eclettico indumento è diretta eredità, nella sua attuale foggia, pressoché immutata da circa due secoli, dell’Ottocento. All’epoca era tassativo indossarla per la buona società e per tutti coloro i quali ambissero ad esserne considerati parte.
Accadeva però che la maggior parte degli impiegati o popolani dell’epoca non avessero il denaro necessario per possederne più d’una. Per tutte queste persone il cambio d’abiti consisteva in alcuni accessori intercambiabili. Essi erano: i polsini, e il colletto primariamente, e venivano di volta in volta scuciti e ricuciti per dare nuova vita al corpo centrale della camicia, che invece si conservava. (Nel caso specifico di lavoratori quali gli stampatori di quotidiani, si usava, in aggiunta all’utilizzo di apposite sopramaniche a protezione dall’inchiostro, anche cambiare l’intera manica dell’indumento talvolta.)
Con la successiva invenzione del pronto moda  e con l’offerta di camice economiche, di pari passo con lo sdoganamento della t-shirt come sottogiacca, tutto ciò si dimostrò superfluo.

Fino ad oggi.
Tra i primi a riproporre una sorta di discendente degli antichi ricambi da camicia c’è stato Marni che ha attualizzato il desueto colletto di scorta proponendolo come collana.
E poi i colletti si sono insinuati ovunque. Fino all’esplosione di colletti operati proposta da H&M nell’ultima collezione A/I (che ora è in saldo, per cui io consiglio di fare scorta! perché a mio parere quest’accessorio sarà ancora in auge per un bel po’.)
Se invece preferite optare per il metodo fai-da-te in internet circolano varie istruzioni, più o meno complesse. Io consiglio questa: http://www.youtube.com/watch?v=yFIvSDEYhm8 che considero simpatica.
Con la sola aggiunta: invece di tagliare la stoffa sotto l’attaccatura della fascetta del colletto, aiutandovi con uno scuci-filo da sarta, aprite la cucitura (è un’operazione molto semplice), e richiudete la base della fascetta cucendo i suoi due lembi su se stessi.
In questo modo avrete un risultato migliore per il vostro colletto, che non presenterà antiestetiche sfilettature alla base; inoltre non avrete rovinato irrimediabilmente una camicia ancora buona che, con l’aggiunta di un semplice orlo su collo, può diventare una valida alternativa al colletto alla coreana.

ELOGIO AL MADE IN ITALY




Si è conclusa due giorni fa la mostra La Seduzione dell’Artigianato. Ovvero: il bello e ben fatto (5/12/12 – 10/02/13), tenutasi presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, con sede a Roma, Piazza G. Marconi 8, Eur.

L’esposizione voleva essere un elogio all’alto artigianato di moda made in Italy. L’allestimento, che occupava uno dei saloni principali della sede del museo, spaziava dai grandi nomi di designer italiani che hanno fatto la storia della moda internazionale – senza tener conto che alcuni di essi si fossero trasferiti all’estero, e considerandone solo i natali per annoverarli tra le glorie di casa nostra – ai giovani designer emergenti di istituti privati, tra i quali per numero spiccavano i rampolli dello IED di Roma. (Pura e semplice casualità? Comoda vicinanza, o calcolo pubblicitario dell’offerta formativa della capitale?)

Da studentessa (oltre che appassionata) di Moda vorrei spendere due parole circa l’organizzazione dell’evento in sé, senza entrare troppo nel merito delle scelte curatoriali della mostra.
La mia totale approvazione – e gratitudine – va all’agevolazione rivolta agli studenti di arti, per i quali l’ingresso alle aree espositive, comprese quelle museali permanenti, era gratuito.
Bene anche alla scelta di installare sensori per l’accensione dell’illuminazione esclusivamente al passaggio dei visitatori, così da contribuire al risparmio energetico.
A tutto ciò però si contrappongono: una scarsissima pubblicità all’evento ed un’ancor minore chiarezza delle indicazioni per raggiungere la sede espositiva. (Nel recarmi a visitarla infatti, mi capitò di chiedere delucidazioni per raggiungere la sede del museo a più di un locale, e, nello stesso quartiere dell’Eur, sembrava che nessuno ne conoscesse l’esatta ubicazione.)
Inoltre, anche una volta raggiunto il Centro Demoetnoantropologico, il visitatore è quasi completamente lasciato a se stesso.
Il personale di servizio alla biglietteria/portineria è molto gentile ma dispone di assai limitati mezzi per agevolare le richieste del pubblico. Una qualsivoglia brochure informativa non esiste, né per le collezioni permanenti, né per le esposizioni temporanee. Tanto meno vi è la possibilità di acquistare un catalogo esplicativo delle opere in mostra, che sembra non essere nemmeno mai stato pubblicato, a quanto mi è fu riferito dai custodi.
Eppure, quanto meno nel caso della mostra La Seduzione dell’Artigianato. Ovvero: il bello e ben fatto, gli sponsor, tra i quali lo stesso Ministero della Cultura,  abbondavano.
A questo punto mi chiedo: ma se i fondi del bellissimo Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari sono talmente ridotti da non permettergli di promuovere adeguatamente le sue stesse collezioni e mostre, invece di garantire la gratuità dell’entrata a date categorie (che non avranno comunque la possibilità di usufruire di tali vantaggi non avendo nemmeno occasione di venire a conoscenza di tali eventi!), non sarebbe invece meglio che facesse pagare l’entrata indiscriminatamente, e con il ricavato si autofinanziasse?
Ai fini di un miglior servizio, credo nessuno obbietterebbe un piccolo sacrificio.

Ecco qualche foto dell'esposizione. A cui era consentito scattare a volontà...