Ieri si inaugurava, tra gli Eventi Collaterali alla Biennale
Arte ’14 – Palazzo Enciclopedico – l’esposizione The Garbage Patch State, installazione dell’artista Maria Cristina
Finucci, con il patrocinio del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in collaborazione
con Ca’ Foscari Sostenibile, Università degli Studi di Ca’ Foscari,
Venezia. L’intera operazione mediatica (aperta
dal 29/05 al 15/09 con orario: 10-18 tutti i giorni tranne il martedì; e dal 16/09
al 24/11 con orario: lun-ven 10-18 e sab: 10-13.45, chiuso la domenica) è volta a sensibilizzare l’opinione pubblica
circa l’inquinamento acqueo, uno dei tanti mali che affligge il nostro pianeta,
ricoperto per la maggior parte della sua superficie di acqua. Il tema è
particolarmente caro alla città di Venezia che, come si è visto già durante l’ultima
Biennale di Architettura (l’anno scorso: edizione 2012), ha un occhio di
riguardo al riciclo, in ogni sua forma, a partire da quella artistica.
Se il plauso va tutto a favore del messaggio lanciato con
quest’imponente opera, che adorna il muro di cinta del cortile di Ca’ Foscari,
non si può dire altrettanto circa l’originalità dell’atto.
Illustri precedenti infatti risalgono ad anni addietro.
In linea generale il movimento madre di tutte queste
iniziative che vogliono colpire la cittadinanza con un messaggio forte, prima
di tutto come impatto visivo, è la guerrilla
knitting (http://www.architetturaecosostenibile.it/curiosita/varie/guerrilla-knitting-colorare-citta-ago-filo-015.html)
nata inizialmente per semplice abbellimento, seppur di protesta, nelle zone
pubbliche più degradata delle città, spesso decentrate in periferia, e
successivamente affermatesi anche come forma d’arte alternativa.
A Venezia nello specifico c’è da ricordare invece l’artista El Anatsui, di origini africane, che, sempre in occasione della Biennale Arte – 2007, in questo caso – non si limitò solamente ad esporre le sue opere nel padiglione dedicatogli alle Corderie dell’Arsenale, ma profittò del restauro della facciata di Palazzo Fortuny per ricoprirla letteralmente con una sua installazione, adagiandola sull’impalcatura esterna.
Il connubio fu particolarmente felice, pure Vogue Uomo se ne
interessò. (http://www.vogue.it/uomo-vogue/people/2012/05/el-anatsui).
Le opere dell’artista, particolarmente sensibile alle tematiche del riciclo,
anche come forma di riscatto per la sua terra d’origine, che da sempre viene
sfruttata come discarica per i rifiuti occidentali, appaiono quasi come tessuti
preziosi. Ironia della sorte: dalla spazzatura all’oro e le pietre preziose.
Perché queste opere sembrano un fortunato incrocio tra le fantasie
secessioniste ritratte da Gustav Klimt nei suoi dipinti (vedi: La Giuditta II,
conservata alla Galleria di Arte Moderna di Ca’ Pesaro – Venezia), e, per
rimanere in ambito lagunare, le murrine prodotte sull’isola di Murano. Senza
contare inoltre che la sede della Fondazione Musei Civici di Venezia che,
durante l’estate 2007, l’opera di Anatsui andò a ricoprire fu primariamente la
residenza di Mariano Fortuny y Madrazo, che, ante temporem, sembrava voler
unire nella sua arte proprio tutti queste suggestioni…