Perché proprio Blue Monday Vodka?

Non vi capita mai, il lunedì mattina, di lasciar suonare la sveglia per ore prima di trovare la forza di alzarvi?
Tutto gioca a vostro svantaggio: il doposbornia vi attanaglia dal weekend, il tepore delle coperte certo non aiuta, il lavoro che vi aspetta, il caffè che è finito giusto ieri...
Blue Monday Vodka: la valida alternativa al cordiale del lunedì ore 7:00

giovedì 30 maggio 2013

FACCIATE RIFIUTATE






Ieri si inaugurava, tra gli Eventi Collaterali alla Biennale Arte ’14 – Palazzo Enciclopedico – l’esposizione The Garbage Patch State, installazione dell’artista Maria Cristina Finucci, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in collaborazione con Ca’ Foscari Sostenibile, Università degli Studi di Ca’ Foscari, Venezia.  L’intera operazione mediatica (aperta dal 29/05 al 15/09 con orario: 10-18 tutti i giorni tranne il martedì; e dal 16/09 al 24/11 con orario: lun-ven 10-18 e sab: 10-13.45, chiuso la domenica)  è volta a sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’inquinamento acqueo, uno dei tanti mali che affligge il nostro pianeta, ricoperto per la maggior parte della sua superficie di acqua. Il tema è particolarmente caro alla città di Venezia che, come si è visto già durante l’ultima Biennale di Architettura (l’anno scorso: edizione 2012), ha un occhio di riguardo al riciclo, in ogni sua forma, a partire da quella artistica.
Se il plauso va tutto a favore del messaggio lanciato con quest’imponente opera, che adorna il muro di cinta del cortile di Ca’ Foscari, non si può dire altrettanto circa l’originalità dell’atto.
Illustri precedenti infatti risalgono ad anni addietro.
In linea generale il movimento madre di tutte queste iniziative che vogliono colpire la cittadinanza con un messaggio forte, prima di tutto come impatto visivo, è la guerrilla knitting (http://www.architetturaecosostenibile.it/curiosita/varie/guerrilla-knitting-colorare-citta-ago-filo-015.html) nata inizialmente per semplice abbellimento, seppur di protesta, nelle zone pubbliche più degradata delle città, spesso decentrate in periferia, e successivamente affermatesi anche come forma d’arte alternativa.



A Venezia nello specifico c’è da ricordare invece l’artista El Anatsui, di origini africane, che, sempre in occasione della Biennale Arte – 2007, in questo caso – non si limitò solamente ad esporre le sue opere nel padiglione dedicatogli alle Corderie dell’Arsenale, ma profittò del restauro della facciata di Palazzo Fortuny per ricoprirla letteralmente con una sua installazione, adagiandola sull’impalcatura esterna.
Il connubio fu particolarmente felice, pure Vogue Uomo se ne interessò. (http://www.vogue.it/uomo-vogue/people/2012/05/el-anatsui). Le opere dell’artista, particolarmente sensibile alle tematiche del riciclo, anche come forma di riscatto per la sua terra d’origine, che da sempre viene sfruttata come discarica per i rifiuti occidentali, appaiono quasi come tessuti preziosi. Ironia della sorte: dalla spazzatura all’oro e le pietre preziose. Perché queste opere sembrano un fortunato incrocio tra le fantasie secessioniste ritratte da Gustav Klimt nei suoi dipinti (vedi: La Giuditta II, conservata alla Galleria di Arte Moderna di Ca’ Pesaro – Venezia), e, per rimanere in ambito lagunare, le murrine prodotte sull’isola di Murano. Senza contare inoltre che la sede della Fondazione Musei Civici di Venezia che, durante l’estate 2007, l’opera di Anatsui andò a ricoprire fu primariamente la residenza di Mariano Fortuny y Madrazo, che, ante temporem, sembrava voler unire nella sua arte proprio tutti queste suggestioni…



lunedì 27 maggio 2013

IL SALONE DA BALLO DI SISSI




Nello stesso salone da ballo dove un tempo risuonava l’eco dei passi di Sissi, che lo attraversava per andare a ritirarsi nei suoi appartamenti, dove oggi alloggiano maestosi Orfeo ed Euridice del Canova, e dove, per la sua costruzione, Napoleone a suo tempo aveva fatto demolire una chiesa e interrare un rio, pur di creare quella che è chiamata l’Ala Napoleonica delle Procuratie Nuove, in Piazza S. Marco… dall’8 Marzo al 5 Maggio sono stati esposti gli abiti della collezione P/E 2013 di Agatha Ruiz de la Prada, già precedentemente presentati alla Fashion Week a Madrid.
Ora, a mostra conclusasi, a mio parere, le considerazioni da fare sono due:
Da un lato il plauso per l’idea di utilizzare questa splendida location, di fresco annessa al restaurato percorso museale di recente apertura, assieme agli appartamenti privati della succitata Sissi, icona (quasi) pop di stile dopo i film con Romy Schneider nella seconda metà degli anni cinquanta.
E proprio dalla pop-art era partita la Ruiz della Prada nei suoi vent’anni come prima ispirazione durante l’accademia di belle arti…
In generale questo è un luogo che avrebbe potenzialmente molto da offrire alla moda, magari in connubio con il museo di palazzo Mocenigo, magari come sua vetrina privilegiata nel salotto della città.
D’altro canto però mi è inevitabile non fare un’aperta critica a chi ha organizzato l’evento credendo che, col solo fatto di essere in un posto così incantevole, non ci fosse bisogno di strutturare un concept alla mostra, ma si potesse vivere di rendita grazie alle vestigia del Museo Correr stesso. Nulla di più sbagliato.
La posizione decentrata rispetto al percorso museale canonico, e la chiara visibilità del salone da ballo rispetto allo scalone d’accesso del museo, esigevano che la personale fosse racchiusa in un suo habitat creato per l’occasione.
Quello che invece è stato fatto è stato piazzare là, in circolo, con un cordone a transennarli, i 31 abiti, in ordine sparso. Non una riga di spiegazione, non un ordine logico che spiegasse le origini della collezione.
Cosa dire dunque?
Bene. Mi fa piacere che l’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia si adoperi per intavolare questo genere di eventi di cui la mia bella città è tristemente carente; detto questo, di strada da fare trovo ce ne sia ancora molta.
Quindi faccio un appello: la prossima volta magari non è così importante che la mostra apra il giorno esatto della Festa della Donna. Piuttosto prendetevi pure più tempo per organizzarla un minimo meglio; sono sicura che la cittadinanza delle donne non ve ne vorrà a male, anzi!
Perché in tutto ciò non ho parlato della parte peggiore di tutta la faccenda: gli abiti di Agatha Ruiz de la Prada sono tutt’altro che scontati. Al contrario sono folli e molto strutturati, e questa collezione in particolare aveva un significato profondo nella sua carriera: celebrava con 31 abiti i 31 anni passati nella moda. (Le foto di alcuni di essi lo dimostrano ampiamente) È quindi un peccato che  l’esposizione non abbia saputo dar loro il rilievo che meritavano, e che ora, a mostra terminata, non sia rimasto nulla dell’evento, non una brochure, non un una sola riga di didascalia, non un bel ricordo.




lunedì 20 maggio 2013

QUELLA CON LE SCARPE GIALLE



Ore 7:30 del mattino.
il bar della stazione è affollato come sempre; siamo a Venezia, anche a quest'ora è già pieno di turisti in partenza o arrivo, per non parlare della massa di pendolari che, come me, ingannano il tempo con un caffè, invece di ridursi tristemente sulla banchina ad aspettare il treno in ritardo. Come sempre.
Da qualche parte, al di sotto del chiacchiericcio generale, arriva remota "Please, Please, Please" degli Smiths ( http://www.youtube.com/watch?v=xLc5dVypsgc ). Una canzone così stonata per questo luogo e questo tempo, eppure così gradevole in questa rara giornata assolata di questo piovoso e recalcitrante maggio, che proprio non ne vuol sapere di ingranare con la primavera...
Mentre aspetto al bancone il mio caffè americano intercetto casualmente un frammento della conversazione del gruppetto di amiche? colleghe? poco discosto da me. Una di loro sta dicendo alle altre, con fare sdegnoso: "Ma quella" - riferendosi chiaramente a me, vista l'occhiataccia lanciatami - "tutta vestita di nero, certo che le scarpe gialle se le poteva proprio risparmiare! Con che altro dovrebbero essere abbinate?" Seguito dagli sghignazzi generali dell'intera combriccola.
In quel preciso momento avrei tanto voluto girarmi e dire: "Con le mutande sono abbinate! Problemi?"
Ma ho perso l'attimo opportuno per avere il diritto ad una replica così teatrale. Mi sono lasciata distrarre dal barista che, con uno sguardo di apprezzamento che lasciava molto poco all'interpretazione circa il suo punto di vista, mi stava porgendo la mia tazza. Lui non disdegnava, era evidente. Cosa poi, è meglio non indagare.

So please, please, please, let me, let me, let me - let me get what I want, this time...

Inutile farsi rovinare la giornata dal commento acido di una sconosciuta al bar. Ovvio.
Eppure non posso fare a meno di chiedermi: perché una il cui personal stylist è certamente un cieco ubriaco (visti l'improponibile trench color topo bagnato e il fouladino 100% acrilico a stampa floreale - col quale sembrava la colf di mia nonna quando porta fuori la spazzatura - che indossava) si permette pure di erigersi ad arbitro del gusto?
Oltre al fatto che, con le mie decolleté di 'Aldo', ero intonata al color del sole quella mattina, io sono per il 'vivi (con stile) e lascia vivere'. Tu ti astieni dal giudicare le mie scarpe, ed io eviterò di vomitare sul tuo Swiffer da collo.

So please, please, please, let me, let me, let me - let me get what I want, this time...