MUSÉE D'ORSAY, PARIS
Sicuramente il 2012 ha visto la moda
come protagonista assoluta delle principali mostre allestite a Parigi. A
spiccare tra le tante – per citarne solo alcune: “Choé. Attitude”, al Palais de Tokyo, e “The Little Black Jacket”, al Grand Palais – vi è “L’impressionisme et al Mode”, allestita
dal celebre regista e scenografo teatrale Robert Carsen, e tenutasi nella
prestigiosa cornice del Musée d'Orsay
(dal 25 settembre 2012 al al 20 gennaio 2013).
L’argomento già di per sé possedeva
attrattive sufficienti per garantire all’evento una risonanza su larga scala,
indipendentemente da quali che fossero gli effettivi meriti dell’esposizione.
La nutrita collezione impressionista del museo d’Orsay assicurava, con poco
sforzo, di allestire svariate sale, e le installazioni di matrice teatrale, che
simulavano un’ambientazione en plein air, ne dilatavano ulteriormente le
proporzioni.
Di fatto poi gli abiti in mostra erano
poco più che una ventina, alcuni più significativi di altri, e tutti
scarsamente provvisti di didascalia.
L’impressione generale, già dalla
seconda occhiata, era quella di una sfilata riccamente adorna ed imbellettata,
ma povera di contenuti. Le testimonianze d’epoca erano pressoché inesistenti,
se ci si astiene dal considerare tali le ridondanti citazioni da “Al Paradiso delle Signore” di Emile
Zola, ampiamente saccheggiato e piazzato coreograficamente sulle pareti
espositive. La luce soffusa, corredata dall’intonacatura in colori cupi, rendeva
indistinte le trame dei tessuti, oltretutto non specificate nei cartellini
didascalici, fatto motivabile solo con la presunta volontà dei curatori di
voler riprodurre un’ impressione fugace degli abiti, da veri impressionisti.
Infine le audio guide ripetevano
pedissequamente quanto già espresso negli sparuti dépliant informativi
distribuiti all’ingresso, senza aggiungere alcuna informazione aggiuntiva.
Ciononostante l’affluenza alle sale
superava la capienza massima di sicurezza delle stesse. E tutto sommato
l’impressione generale che se ne ricavava all’uscita era positiva, se non
altro, anche solo per la magnificenza innegabile dei dipinti selezionati.
La sezione trattata con più accuratezza
era sorprendentemente quella sugli abiti maschili. In un’epoca passata alla
storia come ‘la grande rinuncia’ del guardaroba maschile, è
curioso scoprire come invece la cura maniacale dell’outfit dell’uomo alla moda
non sia sfuggita all’attenta osservazione degli artisti dell’epoca, rivalutando
la tesi della Arnold, secondo la quale il completo maschile, perfezionatosi nel
corso del XIX° sec. e successivamente rimasto pressoché inalterato fino ai
giorni nostri, sia da considerarsi non come un’arretratezza di tale indumento
dovuta allo scarso interesse dell’uomo per le frivolezze della moda, ma anzi
una tale avanguardia da non risultare necessarie ulteriori modifiche, se non di
impercettibile misura.
La stessa esposizione
sarà prossimamente in mostra anche al Metropolitan Museum di New York e all'Art
Institute di Chicago, entrambi nel team organizzativo dell’evento.