Perché proprio Blue Monday Vodka?

Non vi capita mai, il lunedì mattina, di lasciar suonare la sveglia per ore prima di trovare la forza di alzarvi?
Tutto gioca a vostro svantaggio: il doposbornia vi attanaglia dal weekend, il tepore delle coperte certo non aiuta, il lavoro che vi aspetta, il caffè che è finito giusto ieri...
Blue Monday Vodka: la valida alternativa al cordiale del lunedì ore 7:00

mercoledì 13 febbraio 2013

JEAN PAUL GAULTIER E PETER GREENAWAY: UNA SFILATA IN TEATRO

Helen Mirren e Richard Bohringer in una scena del film “Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante”, regia di Peter Greenaway, anno: 1989.


“Il cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante” è un film realizzato nel 1989 da Peter Greenaway, che ne ha scritto la sceneggiatura e diretto magistralmente la regia. Nel cast figurano, tra gli altri, Richard Bohringer, nei panni di Richard Borst, “il cuoco”; Michael Gambon, il perverso e villano gangster Albert Spica, ed Helen Mirren, nel ruolo della moglie di Spica, la protagonista. Il film è un noir, noto per la sua interpretazione di cannibalismo, ai limiti della perversione, e per le inquadrature senza veli nelle scene di sesso; così come per il suo design d’interni sontuoso e i lenti passaggi di scena panoramici, chiaro retaggio del bagaglio esperienziale di Greenaway, che nasce come regista teatrale, prima ancora che come cineasta.
Ed oltre che nel gusto per una trattazione ampiamente gestuale, derivante dal teatro, questa particolare sensibilità estetica si nota, in massima misura anche a paragone tra gli altri lavori dello stesso Greenaway, nella cura ossessiva dei dettagli. Le scene opulente, barocche, di immediato impatto, sembrano costruite per parlare da sole. A riprova di ciò vi è la scarsa necessità di dialoghi, di fatto scarni e sporadici nell’intera narrazione, contrapposta al ridondante baccanale per gli occhi offerto dalla scenografia.
A corredare la magnificenza dell’allestimento scenico, è stato chiamato Jean-Paul Gaultier, designer per eccellenza della trasgressione anni ’80, ma sempre con stile.
Non si sarebbe potuta fare scelta più azzeccata. Gli abiti dello stilista francese si sposano alla perfezione, sia con le scene, che con la narrazione, con la loro carica sessuale esplicita – chiaramente riscontrabile specialmente nelle iconiche coppe a punta dei reggiseno – tanto che la domanda sorge spontanea: quanto le pregresse impostazioni dell’intero progetto abbiano influito sul processo creativo del Gaultier-costumista, e quanto invece sia possibile che, viceversa, il prepotentemente immaginifico mondo del couturier abbia “dettato legge”?
Ad avvalorare tale tesi si possono citare i frequenti cambi di scena, e di conseguenza d’abiti, della prima attrice. Perché ad ogni ambiente corrisponde un colore, e tutto vi deve essere intonato; quindi, per esempio, nel momento in cui dalla sala da pranzo, dove il rosso predomina, si passa alla toilette, dove il candore immacolato dei marmi inonda la vista, con un effetto a metà tra gli interni in stile Philippe Stark e un rimando a Kubrick in “2001 Odissea nello Spazio”, anche il cambio d’abiti diventa doveroso. Stesso copione per il passaggio nei locali della cucina, tutti sui toni soffusi del verde, come un chiaro richiamo ad un’idea di cucina prevalentemente vegetariana, in assoluto contrasto con il colpo di scena finale, votato al cannibalismo forzoso.
Per parte mia l’esperimento è da considerarsi non solo interessante, ma anche positivamente riuscito. Le forme scultoree, a prescindere dal colore degli outfit, sono fortemente evocative e lasciano aperto il campo per un’analisi introspettiva dei caratteri dei personaggi che li indossano, supportando in tal modo quella che sarebbe altrimenti stata percepita come una carenza nella trattazione: il quasi assordante silenzio dei protagonisti, stemperato nel chiasso indistinto della figura antagonista, tratteggiata volutamente con pochi tratti rozzi, e magistralmente interpretata da Michael Gambon.
L’unica nota stridente è forse l’eccessiva enfasi posta nella maniacale cura dell’abbigliamento femminile, quando invece i vari personaggi maschili risultano molto più sobri, e quasi rischiano di passare inosservati, o, per lo meno, non così strettamente necessari allo svolgersi della vicenda.